Questo percorso in divenire è aspirazione, tentativo di dare forme all’elemento luce nella sua alterità ed essenza. Di rendere tangibile, fino a toccarla, un’energia che altrimenti passerebbe inosservata, inosservabile e che mediante i dispositivi tecnologici, a partire da quello fotografico, si apre a poter essere senso, ad una possibile edificabilità.
Elementi di materia, attraversati dalla luce e registrati dal dispositivo fotografico,
compongono già parti costitutive di una struttura che si deposita per proiezione sulla
carta fotografica per creare delle forme che l’occhio umano non potrebbe percepire data
la sua fisiologia. Pertanto forme apparentemente invisibili, ma di cui la materialità
sensibile del fotografico ce ne certifica l’esistenza.
Come, allora, potrebbe essere una possibile visualizzazione in tre dimensioni di queste
forme che noi non percepiamo a occhio nudo ma che il dispositivo fotografico registra?
La tecnologia dell’incisione laser nel cristallo ne è un praticabile tentativo. Producendo
un file digitale dell’immagine in questione ed elaborandolo con un programma in 3D si
ottiene una delle possibili visualizzazioni tridimensionali. Il laser, a cui vengono fornite le coordinate, procede a creare una forma direttamente all’interno del cubo in cristallo.
L’osservazione della forma creata è in continua trasformazione a seconda del punto di
osservazione e dall’angolazione e dalla qualità della luce che la attraversa.
In sostanza avviene il percorso inverso di quando solitamente produciamo un’immagine
fotografica. E cioè quando realizziamo una fotografia riportiamo una porzione di realtà
tridimensionale su di un supporto bidimensionale, qui invece, al contrario, riportiamo una
immagine da un supporto bidimensionale in una delle possibili forme tridimensionali. Con
la caratteristica rilevante, data la sua origine, di una forma di luce a noi ignota ma rivelata dal dispositivo fotografico.
L’impiego successivo di una stampante 3D con l’utilizzo di materiali a deposito per strati
trasparenti mi ha permesso di realizzare una forma, non più bidimensionale su carta
fotografica, ne chiusa all’interno della trasparenza del cristallo, ma tale da poter essere
resa tangibile, che si può toccare. Una forma originata dalla luce e da essa ora
riattraversata, con una evidente circolarità, un’ulteriore alterità.
Architetture in luce è proposizione che vuole mettere in evidenza come il prefisso “in”,
usato a volte come una impossibilità, una negazione (ad esempio in-visibile, in-toccabile,
in-utile); se utilizzato semanticamente come significativo di un qualcosa che è già
all’interno (nel), che già esiste, offre un ulteriore stimolo ad attraversare delle esperienze.
Stimolo per aggirare un ostacolo che a volte si contrappone alla nostra curiosità.